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[ spettri di Heidegger ] 
Heidegger - …mentre il tempo come storicità autentica (Geschichte) è del tutto scomparso dalla realtà di qualsiasi popolo; in un’epoca in cui un pugile è considerato un eroe nazionale, in cui i milioni di uomini delle adunate di massa costituiscono un trionfo; allora, proprio allora, l’interrogativo: a che scopo? dove? e poi? continuamente ci si ripresenta come uno spettro, al di sopra di tutta questa stregoneria.[1]
E di nuovo mi chiedo (e vi chiedo): siamo noi ad aver immaginato tutto ciò e ad attribuirlo poi al filosofo?
Nel dubbio faccio un sopralluogo sulla scena della prima apparizione, ossia nell’Introduzione alla metafisica [2], dove il quadro di van Gogh è annunciato ancor prima di essere re-citato nell’Origine.
E qui leggo tutto d’un fiato:  
Anche uno stato è. In che consiste il suo essere? Nel fatto che la polizia arresta un sospetto, oppure nel fatto che alla cancelleria strepitano tante macchine da scrivere che ricevono quanto dettano i segretari e i consiglieri di stato? Oppure lo stato “è” nel colloquio che il capo dello stato intrattiene col ministro degli esteri inglese? Lo stato è.  Ma dove si trova l’essere? E, in generale, si trova in qualche posto? Ecco qua un quadro di van Gogh: nient’altro che un paio di grossi scarponi da contadino. L’immagine non rappresenta proprio niente. Eppure vi è qui qualcosa in cui vien fatto subito, spontaneamente, di ritrovarci, proprio come se noi stessi, in una tarda sera d’autunno, quando si consumano gli ultimi fuochi destinati ad arrostire le patate sotto le braci, tornassimo a casa, stanchi, con la zappa sulle spalle. Cosa è qui essente? La tela? Le pennellate? Le macchie di colore?  Che cos’è, in tutto quello che abbiamo ora descritto, l’essere dell’essente? Il nostro aggirarci per il mondo, il nostro stare al mondo con le nostre stolte pretese e malizie?[3]

Le domande poste al termine del primo brano non aspettano certo una risposta; tuttavia, proseguendo, il filosofo ci mostra le scarpe, proprio come se appunto queste stesse fossero la risposta.

Resumé:
domanda - Lo stato è… Ma dove troviamo il suo essere? ... si trova in qualche posto?...
risposta...- ...Ecco qua un quadro di van Gogh…

Non è colpa mia se successioni e consecuzioni [4] danno polpa all’impressione che quel paio di grosse scarpe apparse ad Heidegger per-vengono dallo stato e per-vanno per il mondo nella forma trucida dello Stato nazionale.[5]
Del resto, basta un solo giro di pagina per vedere l’essere aggirarsi in un mondo del tutto tangibile, dalle sembianze geologiche e geografiche, sociali e politiche scrutate da un punto di vista per nulla metafisico e spirituale. 

Che cosa ne è dell’essere?”. Una domanda assai semplice e anche, certamente, assai inutile; e nondimeno una  domanda, anzi  la domanda, quella che chiede: “L’essere è una semplice parola e il suo significato evanescente, oppure esso costituisce il destino spirituale dell’Occidente? […] Questa Europa in preda a un inguaribile  accecamento, sempre sul punto di pugnalarsi da se stessa, si trova oggi nella morsa della Russia da un lato e dell’America dall’altro. Russia e America rappresentano entrambe, da un punto di vista metafisico, la stessa cosa: la medesima desolante frenesia della tecnica scatenata e dell’organizzazione senza radici dell’uomo massificato…[6]

Dopodiché, con tali sentimenti, si spiegano molte cose  anche prima di arrivare in fondo alla scena per scoprire dove si è andato a rifugiare l’essere.
Dove?
Non bisognava certo aspettare il 1988 per venirlo a sapere.[7]
Anche io (come Schapiro e Derrida) avrei preferito mantenermi nell’aria tiepida dei boulevards, ma, raggiunti i bastioni parigini non ho potuto proprio evitare di imbattermi nell’abate Farias, che mi ha urlato dietro che fin dal 1933 il benedetto Croce aveva visto chiaramente il nucleo più profondo del discorso filosofico di Heidegger[8] (il quale, per altro, da parte sua non è mai stato reticente a tale riguardo). 

Ciò che oggi qua e là si gabella come filosofia del nazionalsocialismo – e che non ha minimamente a che fare con l’intima verità e la grandezza di questo movimento[9] – non fa che pescare nel torbido di questi “valori” e di queste “totalità.[10]
[1] - Heidegger, Introduzione alla metafisica, ed. Mursia, Milano 1968, p. 48.
[2] - L’Introduzione (Friburgo, corso estivo del 1935) e l’Origine (1936) condividono molti argomenti (arte, stato, mondo, popolo storico, terra ecc).
[3] - Heidegger, Introduzione, cit., p. 45-46.
[4] - Ivi, p. 72: “Questa lotta (così com’è concepita da Eraclito, ecc.) viene sostenuta, in seguito, da chi crea: da poeti, pensatori, uomini di Stato… La lotta come tale non fa solo sorgere l’essente, ma lo custodisce, essa sola, nella sua stabilità” (parentesi e corsivi nostri). 
[5]- V. I. Lenin, Stato e rivoluzione, ed. Feltrinelli, Milano 1970, p. 52: “Lo Stato appare là, nel momento e in quanto, dove, quando e nella misura in cui gli antagonismi di classe non possono essere oggettivamente conciliati. E, per converso, l'esistenza dello Stato prova che gli antagonismi di classe sono inconciliabili.”
[6] - Heidegger, Introduzione alla metafisica, cit, p. 47-48
[7] - Victor Farias, Heidegger e il nazismo, ed. Bollati Boringhieri, Torino 1988.
[8] - Ivi, p. 114: - “Sono infine particolarmente interessanti i giudizi di Eduard Baumgarten e di Benedetto Croce. Baumgarten, che era stato allievo di Heidegger ai tempi in cui questi era professore a Friburgo e che, tra breve, sarebbe stato vittima delle denunce politiche di Heidegger, sostiene che dal Discorso del rettorato emerga come «una transustanziazione mistica». «Il tutto che irrompe su colui che pone la domanda (...) non viene più inteso da Heidegger su un piano metafisico ("ontologicamente"), come il nulla che nullifica radicalmente - o, se visto dal lato del soggetto, come "libertà per la morte" – ma egli lo affronta ora "onticamente", come un'entità concreta, vale a dire come quell'insieme di dati di fatto che costituiscono la rivoluzione tedesca.» A sua volta Benedetto Croce fa notare, senza mezzi termini, che, nel suo Discorso del rettorato, «il professor Heidegger non vuole che la filosofia e la scienza siano altro, per i tedeschi, che un affare tedesco, a vantaggio del popolo tedesco. ». E scrive ancora: «Oggi si sprofonda di colpo nel gorgo del più falso storicismo, in quello, che la storia nega, per il quale il moto della storia viene rozzamente e materialisticamente concepito come asserzione di etnicismi e di razzismi, come celebrazione delle gesta di lupi e volpi, leoni e sciacalli, assente l'unico vero attore, l'umanità (...) E così si appresta, o si offre a rendere servigi filosofico-politici: che è certamente un modo di prostituire la filosofia...»  In una lettera a Vossler del 9 settembre 1933 Croce scrive: «Ho letto poi per intero la prolusione dello Heidegger, che è una cosa stupida e al tempo stesso servile. Non mi meraviglio del successo che avrà per qualche tempo il suo filosofare: il vuoto e generico ha sempre successo. Ma non genera nulla. Credo anch'io che in politica egli non possa avere alcuna efficacia: ma disonora la filosofia, e questo è un male anche per la politica, almeno futura.». II significato complessivo del Discorso del rettorato non può, comunque, essere ricavato unicamente dall'esame dei suoi contenuti e dalle reazioni che esso suscitò. In quanto dichiarazione di principio, costituisce anche un programma d'azione; per coglierne appieno il significato, […] occorre procedere a una verifica dell’attività politica e scientifica di Heidegger durante il suo rettorato e nel periodo susseguente.”
[9] - Cioè con “l’incontro tra la tecnica planetaria e l’uomo moderno” (nda).
[10] - Heidegger, Introduzione alla metafisica, cit, p. 203.




VALIGIE
parte seconda H.D.S. MAROQUINERIES